I precursori
L’idea che la catena delle Alpi, proprio nel punto in cui essa raggiunge la sua massima altezza, potesse essere attraversata in galleria ha origini molto remote nel tempo. Nel 1787 – due anni prima che in Francia scoppiasse la grande rivoluzione – una spedizione organizzata dal naturalista ginevrino Horace Bénédict de Saussure raggiungeva la vetta del Monte Bianco che era stata per la prima volta conquistata l’anno precedente da due alpinisti di Chamonix, il medico Michel-Gabriel Paccard e la guida Jacques Balmat. Dall’alto dei 4807 metri della montagna, ammirando il panorama che si apriva da una parte verso le pianure della Francia e dall’altra verso quelle della Lombardia, il De Saussure ebbe a pensare – e poi, nel resoconto della spedizione, a scrivere – “Verrà il giorno in cui si scaverà sotto il Monte Bianco una via carreggiabile e le due Valli, la Valle di Chamonix e la Valle di Aosta, saranno unite”.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento quell’idea fu in diverse occasioni ripresa: il successo della galleria ferroviaria del Fréjus (iniziata nel 1857 per volontà di Camillo Cavour, al fine di collegare le due capitali del regno sabaudo, Torino e Chambéry, e terminata nel 1871, quando ormai Chambéry con tutta la Savoia era diventata francese, dal 1860) appariva un buon motivo per incoraggiare l’apertura di una nuova galleria ferroviaria transalpina: tanto più che nel 1882 i primi treni avevano cominciato a transitare nel tunnel svizzero del San Gottardo, aprendo un’importante linea di comunicazione tra l’Italia e il centro del continente europeo. Ragioni politiche e un inasprimento dei rapporti commerciali tra l’Italia e la Francia fecero tramontare l’idea di costruire una galleria sotto il Monte Bianco, mentre maggiore fortuna ebbe quella di realizzare il collegamento tra Italia e Svizzera attraverso i quasi 20 km di galleria del Sempione, realizzata tra il 1898 e il 1906. Ma all’inizio del nuovo secolo, su impulso del deputato valdostano Francesco Farinet, il progetto Monte Bianco torna di attualità. Nel 1907 il quotidiano torinese “La Stampa” pubblica in anteprima la notizia dell’imminente costruzione della galleria e nel 1908 l’ingegnere francese Arnold Monod illustra il suo progetto ad una delegazione di parlamentari italiani e francesi, sostenuti rispettivamente dai primi ministri Giolitti e Clémenceau, in visita ad Aosta. Fu il primo studio tecnico e geologico approfondito, che sarebbe servito di base per i progetti successivi. Esso offriva la scelta tra tre tracciati rispettivamente di 17,5 km, di 15,1 km e di 12,5 km: quest’ultimo otteneva i maggiori consensi, tanto è vero che nello stesso anno il Ministero francese dei Lavori Pubblici elaborava il progetto di una galleria di 13 km tra le quote 1050 di Chamonix e 1287 di Courmayeur. Ma il clima di entusiasmo che aveva accompagnato questi eventi sarebbe ben presto svanito: nel 1909 in Francia le elezioni politiche decretarono la sconfitta del governo Clémenceau e diedero inizio ad un periodo di instabilità ministeriale e di agitazioni sociali; in Italia Francesco Farinet, deputato da 14 anni, non veniva rieletto e si ritirava a vita privata; la guerra di Libia e l’imminente conflitto mondiale avrebbero di lì a pochi anni fatto dimenticare ogni altro più pacifico progetto.
D’altra parte, oggettivamente, il Traforo del Monte Bianco non aveva più una solida giustificazione economica. Fréjus, Gottardo e Sempione erano sufficienti al traffico di allora. L’epoca dei trafori ferroviari era comunque finita, e quella delle gallerie stradali non era ancora iniziata.
Verso il traforo
Dopo anni di silenzio, nel 1933 il Corriere della Sera pubblica un lungo articolo a firma di Carlo Ciucci dal titolo “Un’idea che si avvia a diventare realtà. L’autostrada del Monte Bianco”. Cosa era successo ? Era successo che il ginevrino Antoine Bron, Presidente del Consiglio di Stato, aveva incontrato il senatore italiano Piero Puricelli – l’ingegnere cui si deve l’invenzione e la realizzazione della prima autostrada europea, la Milano-Laghi – ed insieme avevano contattato l’ing. Monod convincendolo a trasformare il suo progetto ferroviario in un progetto stradale. Nel 1934 lo stesso ing. Monod a Bonneville, in occasione di un congresso tra autorità francesi, italiane e ginevrine, poteva illustrare il nuovo progetto: una galleria stradale di km 12,620 (dunque appena un chilometro più lunga di quella attuale) da quota 1220 a monte di Chamonix (l’attuale imbocco francese è a 1274 m s.l.m.) a quota 1382 a monte di Entrèves (contro i 1381 dell’attuale imbocco italiano). Era stimato un traffico annuale di 100.000 vetture e di 25.000 camion ed erano perfino dettagliatamente ipotizzate le tariffe di pedaggio, modulate in base al numero dei passeggeri – da 18,60 lire o 25 franchi per una vettura a quattro posti fino a 25 lire per una da sei – e al peso delle merci (18,60 lire fino a 1 t, 25 lire se oltre). In quel momento le relazioni politiche tra l’Italia di Mussolini e la Francia di Laval erano buone; ma poco dopo (nel gennaio 1936) il governo Laval cadeva per lasciare il posto al Fronte Popolare di Léon Blum, e in Italia la guerra di Etiopia provocava la reazione della Società delle Nazioni e l’applicazione delle sanzioni economiche (dal novembre 1935); la guerra di Spagna, l’asse Roma-Berlino e lo scoppio della seconda guerra mondiale avrebbero poi contribuito ad affossare definitivamente il progetto Monod.
All’uscita dal tragico conflitto, nel 1945, quando i rancori e i motivi di divisione non erano ancora del tutto sopiti, fu un ingegnere piemontese, il conte Dino Lora Totino a capire l’importanza di un progetto capace di abbattere le barriere naturali e di collegare il Piemonte all’Europa occidentale. Con l’aiuto del prof. Zignoli, del Politecnico di Torino, vennero allora esaminate diverse possibilità, tutte valdostane: quella del Monte Bianco prevedeva un tunnel di 12 km e di sezione molto limitata, tale da consentire il transito a senso unico di sole 2 vetture per senso di marcia o in alternativa l’allestimento di un sistema di trasporto a “funicolare” o a “navette”, su carrelli ferroviari. Era un progetto molto riduttivo, ma ciò non impedì al conte Lora Totino, nel 1946, di iniziare a scavare sul versante italiano, a proprie spese, e di ottenere nel 1947 dal Comune di Chamonix la concessione di venti ettari di terreno sul versante francese. I lavori avevano raggiunto i 60 m a piena sezione, più 50 m a metà sezione e 50 m in cunicolo quando, nel 1947, giunse l’ordine di sospendere l’attività, che nessuna pubblica amministrazione aveva mai autorizzato. Ma l’iniziativa dell’intraprendente conte era servita a sollevare il problema e a porre i politici italiani e francesi di fronte alla necessità di prendere una decisione.
In Italia, anche grazie all’opera del deputato valdostano Paolo Alfonso Farinet – nipote di quel Francesco Farinet che già si era battuto per la causa del traforo agli inizi del secolo – fu facile conquistare l’appoggio di De Gasperi e soprattutto del Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi.
Ma in Francia gli orientamenti erano molto contrastanti, anche perché si stava facendo strada l’idea di aprire un traforo stradale al Fréjus: un’idea sostenuta con calore dai deputati savoiardi e dal “Dauphiné Libéré”, il giornale locale che aveva molti più lettori nelle regioni interessate da questo traforo che in quelle favorite dal Monte Bianco. A quell’epoca tutti volevano il proprio traforo, convinti che l’apertura di un varco transalpino avrebbe portato importanti vantaggi sull’itinerario di riferimento. Gli avversari del Bianco avevano inoltre buon gioco a enfatizzare il problema del costo: dove trovare le fonti di finanziamento dell’opera ? Le banche francesi esitavano e a Parigi si diceva che “il Monte Bianco è il tunnel di Ginevra e non può interessare la Francia”. Si diffondeva la convinzione che il Monte Bianco corrispondesse agli interessi della SNCF, che fra Modane e Bardonecchia aveva il monopolio del trasporto delle merci su rotaia fra Francia e Italia, e perciò si opponeva al tunnel stradale del Fréjus. Il tunnel del Bianco avrebbe favorito solo la Valle d’Aosta e il porto di Genova, a scapito di quello di Marsiglia.
Nel frattempo, e con meno clamore, un terzo tunnel transalpino guadagnava consensi, quello del Gran San Bernardo: a sostenerne la necessità erano senz’altro gli svizzeri del Canton Vallese e i torinesi, in testa la FIAT, convinti che il Monte Bianco sarebbe stato certamente utile, ma avrebbe favorito maggiormente Milano.
In tale contesto, tra rinvii ed esitazioni, si colloca la firma a Parigi il 14 marzo 1953 della “Convenzione fra l’Italia e la Francia relativa alla costruzione e alla gestione di una galleria stradale attraverso il Monte Bianco”: per il momento, niente di più che una dichiarazione d’intenti, sottoscritta da due ambasciatori, che sarebbe diventata efficace solo dopo la necessaria approvazione dei rispettivi Parlamenti.
L’accordo internazionale
Tra la firma della “Convenzione tra l’Italia e la Francia” (14.03.1953) e l’inizio dei lavori di scavo del Traforo del Monte Bianco (08.01.1959) trascorsero poco meno di 6 anni. Perché tanto tempo ?
L’accordo internazionale, come abbiamo detto, doveva trovare conferma in specifiche leggi nazionali di ratifica. Se in Italia ciò avvenne in tempi ragionevolmente rapidi (il 14 luglio 1954 la Convenzione venne approvata dalle Camere e il 30 dello stesso mese ottenne la conferma del Senato), in Francia l’iter di approvazione fu assai più lungo e tormentato.
All’indomani della firma della Convenzione, nel 1953, il “Dauphiné Libéré” usciva con una serie di articoli dal titolo emblematico (“Liaisons dangereuses”) in cui si prefiguravano conseguenze disastrose per l’economia francese: l’apertura del Traforo del Monte Bianco avrebbe avvantaggiato Ginevra e Genova ai danni di Marsiglia e della Valle del Rodano; tutta l’economia alpina ed anche quella della Costa Azzurra ne avrebbero sofferto, i turisti avrebbero disertato gli alberghi di Chamonix per quelli di Courmayeur. Invece di spendere tanti soldi per far passare i veicoli dall’Italia alla Francia, sarebbe stato sufficiente organizzare un trasporto di autovetture su rotaia da Bardonecchia a Modane. Detto fatto, il 15 ottobre 1953 il primo treno con auto al seguito passava attraverso il tunnel del Fréjus: un ottimo argomento per rinviare, se non per accantonare, il progetto Monte Bianco. Fra esitazioni e tentativi falliti di portare la Convenzione all’esame del Parlamento passarono inutilmente tutto il 1954 e il 1955. Nel settembre 1956, mentre in Francia ancora si discute sull’opportunità di dare corso all’iniziativa, a Torino si firma la Convenzione italo-svizzera per la costruzione del Traforo del Gran San Bernardo e nel giro di pochi mesi i due Parlamenti la approvano: tanto che nel dicembre 1958 sarebbero materialmente iniziati i lavori.
La notizia, accompagnata dalle pressioni dell’ambasciatore italiano a Parigi, provocò una salutare reazione da parte francese e il progetto del Traforo del Monte Bianco venne finalmente portato ai voti dell’Assemblea Nazionale il 24 gennaio 1957. Ma per la definitiva approvazione era necessaria la conferma del Senato francese, e lì (l’11 aprile 1957) gli oppositori parlarono ancora di “follia finanziaria” e di “suicidio economico nefasto agli interessi del Paese”. Vennero introdotti due emendamenti e fu necessario un secondo passaggio all’Assemblea Nazionale: che approvò finalmente la legge alle ore 21,07 del 12 aprile 1957, alla vigilia della chiusura del Parlamento per le vacanze di Pasqua. Appena in tempo, perché alla ripresa dei lavori parlamentari il governo francese entrò in una crisi profonda, dalla quale sarebbe uscito solo nel 1958 con l’avvento del generale De Gaulle e della Quinta Repubblica.
La ratifica francese della Convenzione internazionale permetteva ora ai due Stati di dare il via alla costituzione delle Società per la costruzione e per la successiva gestione del Traforo. In Italia, il 1° settembre 1957 si costituiva solennemente ad Aosta la Società Italiana per Azioni per il Traforo del Monte Bianco: primo Presidente l’ambasciatore Francesco Jacomoni di San Savino, e Amministratore Delegato l’ing. Giancarlo Anselmetti, torinese. L’anno dopo, il 6 giugno 1958, sarebbe nata la Società francese, sotto la presidenza di Edmond Giscard d’Estaing, membro dell’Istituto di Francia e padre del futuro Presidente della Repubblica, Valéry Giscard d’Estaing.
La costruzione
Finite le discussioni e placate le polemiche, i lavori di costruzione ebbero inizio l’8 gennaio 1959 sul versante italiano e il 30 maggio su quello francese. Ciascuna delle due imprese esecutrici, l’italiana Società Condotte d’Acqua e la francese André Borie, aveva il compito di realizzare 5800 metri di galleria. I francesi incontrarono rocce di migliore qualità ed ebbero meno imprevisti durante le operazioni di scavo. Invece dalla parte italiana, perforati i primi 368 metri importanti getti d’acqua a forte pressione uscirono dal fronte dello scavo e costrinsero a sospendere ogni attività dal 20 febbraio al 21 marzo. Il 6 aprile, nuova sorpresa: alla progressiva m 500 una frana interna su una lunghezza di 100 m seppellì e distrusse il carro ponte sul quale erano sistemati i martelli pneumatici Atlas Copco che servivano ad abbattere la roccia. Questa, ed una successiva frana di materiale instabile verificatasi il 12 agosto, costrinsero i minatori a procedere con estrema cautela, attraverso un cunicolo fortemente armato e successivamente allargato a metà sezione. Il granito, una roccia amica, venne trovato solo a dicembre, quando lo scavo aveva raggiunto appena i 1300 m; ma le sorprese non erano finite perché la decompressione provocava improvvisi “colpi di montagna” e distacchi improvvisi di blocchi e lastre di roccia, costringendo l’impresa a provvedere a una sistematica “chiodatura” della volta. Alla fine del 1960 il cantiere era a 2,5 km dall’imbocco, e nel 1961 una roccia più instabile e deteriorata, intervallata da frequenti venute d’acqua, rallentò sensibilmente i lavori di scavo. A dicembre di quell’anno, quando si era raggiunta la progressiva 3660 m, preannunciata da una progressiva diminuzione di temperatura della roccia (dai 30° normalmente previsti si era passati a 12°) una violenta venuta d’acqua fredda da 1.000 litri al secondo, di provenienza subglaciale, allagò la galleria per un’altezza di 40 cm: i lavori furono sospesi per circa un mese, fino a che la corrente d’acqua non si ridusse a 300 litri al secondo e poté essere incanalata. Il 1962, poco dopo la ripresa dei lavori, doveva riservare un’ultima tragica fatalità: il 5 aprile tre grosse valanghe si staccarono dai pendii orientali del ghiacciaio della Brenva e precipitarono sulle baracche in legno e muratura dell’area esterna di cantiere, provocando tre morti e trenta feriti tra gli operai. La montagna, non paga delle tante difficoltà create ai minatori, li aveva colpiti con una delle sue armi più terribili.
Superato il difficile momento, gli ultimi metri di scavo vennero realizzati tra maggio e luglio. Il traguardo dei 5800 metri venne raggiunto il 3 agosto 1962 e undici giorni dopo, il 14 agosto, l’ultima volata di mine fece cadere il diaframma che separava il cantiere italiano da quello francese. Dalle viscere della montagna erano stati estratti quasi un milione di metri cubi di materiale roccioso. Milleduecento tonnellate di esplosivo erano servite per alimentare 400.000 colpi di mina. Calotta e pareti della galleria erano state rivestite con 200.000 metri cubi di calcestruzzo, e 235.000 bulloni erano serviti per consolidare il granito soggetto a fenomeni di decompressione.
Circa tre anni di lavoro sarebbero stati ancora necessari per completare le opere interne, per realizzare la carreggiata, per dotare la galleria di tutti gli impianti tecnologici necessari e per allestire i due piazzali di ingresso al tunnel. Il 16 luglio 1965 il Traforo del Monte Bianco veniva solennemente inaugurato alla presenza del Presidente della Repubblica italiana Giuseppe Saragat e dal Presidente della Repubblica francese Charles de Gaulle. Tre giorni dopo, alle 6 del mattino del 19 luglio, la nuova galleria veniva aperta al traffico.